Fermata Lambrate: la cucina dei vegetali di Simone Salvini sbarca a Lambrate

Lunedì, 15 Maggio 2017

Erbe, fiori, legumi, cereali e tutte le altre bontà che provengono dalla natura. Questo è il mondo dello chef Simone Salvini e della sua cucina dei vegetali. Ora anche a Lambrate con la FunnyVeg Academy per condividere il suo amore e le sue tecniche dedicate al mondo della cucina green. 

Fiorentino di nascita, hai aperto un’accademia di cucina veg in una città che ha una nutrita tradizione culinaria a base di carne. Perché hai deciso di aprire proprio a Milano la tua scuola, e in particolare a Lambrate?

Non la definirei cucina vegana quanto cucina dei vegetali. È stata una decisione presa in accordo con i miei soci, con i quali abbiamo trovato questo quartiere il luogo adatto a fare della didattica per comodità di parcheggio e, soprattutto, per la presenza di tanto verde. Inoltre questo è un luogo molto luminoso, ci arriva luce non solo al mattino ma anche per tutto il pomeriggio. Poi abbiamo una bellissima chiesa di fronte… e pensa che la mattina, quando cominciamo a cucinare, si sentono anche dei fagiani che cantano, a soli cento metri. Tutte queste cose ci hanno fatto pensare che la nostra scuola potesse partire da qua. Con la tangenziale a soli due chilometri e gli autobus che passano frequentemente e sempre in orario è una zona perfettamente collegata. E poi stando qua ci siamo accorti che in questo quartiere ci sono tante persone che si salutano quando si incontrano per strada, c’è ancora la dimensione del paesino: siamo a Milano ma allo stesso tempo siamo in provincia.

Che età hanno i partecipanti ai corsi che tieni in accademia? Secondo te c’è più sensibilità al tema veg fra i giovani o è una fascia d’età su cui bisognerebbe insistere maggiormente?

La nostra scuola è frequentata da gente che ha il desiderio di diventare chef, quindi si tratta di giovani poco più che ventenni, questo soprattutto per quanto riguarda l’ultimo corso. Poi ci sono persone sopra i trent’anni che hanno già avuto esperienze culinarie e di vita. E poi ci sono anche delle persone che vorrebbero cambiare vita. Persone soprattutto con un bagaglio culturale importante, con una laurea alle spalle, che vorrebbero dedicarsi completamente alla cucina dei vegetali e che quindi sono molto interessati ad approfondire e a fare esperienze sul campo. Io parlerei quindi di diverse fasce d’età: ci sono ventenni, trentenni, quarantenni e anche ultracinquantenni. E questi ultimi sono di solito anche quelli che si applicano di più, che hanno più voglia di imparare e che non hanno tempo da perdere. Fanno un sacco di domande “militanti” e studiano davvero tanto. Nel penultimo master c’è chi ha fatto tutto il percorso senza perdere neanche un minuto di lezione e ha creato una dispensa riepilogativa corredata da foto e comparazione tra diverse tradizioni culinarie… un vero e proprio lavoro antropologico!

Da diversi anni sei docente in alcuni istituti alberghieri di Milano... com'è l'approccio con i ragazzi rispetto a questo argomento?

C’è da fare una precisazione importante: in questi istituti alberghieri io di solito lavoro con i professori, non con gli studenti. Il professore della scuola alberghiera non ha studiato tematiche vegetariane, quindi si ritrova anche un po’ impreparato… per questo faccio formazione ai professori e vengo anche definito il “professore dei professori”. A volte ho tenuto delle lezioni anche agli studenti, a diverse classi insieme. Alcune di queste le ho tenute con il professor Veronesi, quando era ancora in vita. E sono emerse delle differenze sostanziali: in primis, i ragazzi degli alberghieri sanno molto poco rispetto al tema dei vegetali, mentre le persone che frequentano i nostri master sono molto informate perché vogliono specializzarsi o comunque hanno il desiderio di investire del tempo su quella tematica specifica. Anzi spesso i nostri studenti di master sono anche più informati di noi! Nell’alberghiero invece a volte i professori sono di parte e presentano gli alunni come del "materiale umano" su cui investire parzialmente per quanto riguarda i vegetali.

Dublino, Galway, India, Milano… hai girato il mondo, come ogni chef che desideri affinare la propria arte. Quali differenze (e diffidenze) hai incontrato nei vari posti in cui hai lavorato nei confronti della cucina vegana? Ci sono delle città/nazioni che secondo te sono più aperte a questo tipo di cucina rispetto ad altri posti?

Sono stato soprattutto in Oriente e nelle grandi città come Shanghai e Nuova Delhi sta accadendo questo: c’è in corso un’estrema occidentalizzazione delle abitudini alimentari. Ormai cucinano il cibo tradizionale solo in occasione delle feste o nel fine settimana. Perciò si ammalano più facilmente, dato che hanno adottato un regime alimentare come il nostro che è ricco di proteine animali. Ci sono anche però tante famiglie indù che cucinano secondo le tradizioni antiche indiane e lì ci sono delle differenze sostanziali: per esempio, la cucina è il luogo della casa che ospita divinità e immagini sacre. L’approccio è molto più “affettuoso” sia nei confronti del cibo che verso le persone che assaggeranno quel cibo. Ho visto delle donne in India assolutamente immerse nell'arte del cucinare. In Cina questa differenza l’ho notata nei ristoranti monacali. Io sono andato in ristoranti buddisti, cucinano un cibo eccezionale sotto tanti punti di vista, dall'estetica alle proprietà nutritive fino al gusto. Anche qui ho visto delle cose molto interessanti che potrebbero essere trasferite alle nostre attività, come l’attenzione ai tagli delle verdure o alla cottura. Il problema è che questi locali sono sempre più difficili da trovare. Ora purtroppo i ristoranti cinesi sono sempre più simili a quelli occidentali. Per fortuna, Tiziano Terzani diceva che in India ci sono ancora tanti luoghi dove in realtà ci sono delle dinamiche abbastanza “protettive” nei confronti della dimensione uomo. Queste sono cose che ha scritto quindici anni fa, ora speriamo che continuino a essere valide! Vero è che c’è anche la dimensione interiore di salvezza: uno anziché guardare all’esterno può guardare dentro se stesso e trovare la salvezza. E in questo modo, in qualche modo, si riesce anche a salvare l’Universo.

È sempre a Milano che ti lega un altro importantissimo traguardo: la prima stella Michelin conferita a un ristorante vegetariano. Credi che questa possa essere una svolta per il mondo veg, in qualche modo?

La stella Michelin è stata conquistata nel ’96 dal titolare del ristorante nel quale lavoravo. Io posso avere avuto il merito di averla mantenuta nel momento in cui abbiamo deciso di togliere il pesce, facendo diventare la cucina prettamente a base di vegetali. Di sicuro il fatto che un ristorante basato sui vegetali abbia ricevuto una simile onorificenza è un bene in termini di visibilità per questo tipo di cucina. È un peccato che in Europa ce ne sia solo uno, di questo tipo. Invece dovrebbero essercene diverse di queste realtà. Il fatto che ce ne sia almeno una è un bene perché rappresenta una vera e propria luce, che potrebbe illuminare anche le altre, creando una rete. È un modello, per quanto difficilissimo da riprodurre perché questo ristorante in particolare si rifà al talento di chi ha raggiunto la stella. Però di sicuro ci sono alcune cose che possono essere condivise.

In zona Lambrate c’è anche un altro elemento che ti riguarda da vicino: gli studi dello show di Maurizio Crozza, creatore del tuo alter ego Germidi Soia. Tanti vegani lo hanno attaccato per questo personaggio, tu cosa ne pensi? Credi che abbia giovato e agevolato in qualche modo a diffondere la filosofia e la cucina vegana in Italia?

Di certo Crozza è riuscito a far ridere di noi stessi. Io rido molto quando ci sono le sue imitazioni, ma soprattutto per le cose che faccio, ce ne sono alcune davvero buffe! Io sono fiorentino, quindi probabilmente ho delle armi in più rispetto agli altri. Credo che la libertà di espressione sia fondamentale, e Crozza è un comico. La cosa importante è che rimanga sempre all’interno di due binari: da una parte la verità e dall’altra l’assenza di volgarità. Però ben vengano le imitazioni e le caricature! Le persone che protestano in parte posso capirle perché per loro questa è anche la vita, portare avanti degli ideali… però la vita è anche un gioco e sapersi prendere in giro quando occorre. Bisognerebbe capire perché ci si arrabbia, forse perché si sentono colpiti nel profondo. Per quanto riguarda me non è così, che vada avanti anche per cento anni con le sue imitazioni, ben venga! Il fatto è che il cibo vegetale, la scelta vegana, per alcuni non è un mezzo ma è proprio una scelta di vita. Quindi bisogna stare attenti perché si rischia di andare a toccare delle corde molto delicate.

C’è qualcosa che non condividi del veganesimo? E se sì, cosa?

Se si rischia di forzare o di obbligare qualcuno a seguire un’alimentazione in cui non crede allora no, non va bene. Con questo tipo di tendenze sono completamente in disaccordo. In casi del genere sono dalla parte del “carnivoro”. Tieni presente che la premessa ai master della nostra scuola è “più dubbi che certezze”. Dai tanti dubbi poi si cerca di arrivare a una didattica all’altezza. Però non si può imporre nulla, una persona che impone un regime alimentare agli altri dovrebbe guardare prima di tutto a se stesso. Poi può avere delle istanze rispettabilissime, che io condivido. Ma c’è la forma, che è importante tanto quanto il contenuto. Le parole sono come delle pietre. Le parole sono sacre, secondo la tradizione che ho studiato. Si può fare una violenza con le parole di cui neanche i neuroscienziati moderni conoscono la portata. Chi riceve delle imposizioni da un vegano si sente allontanato. Ed è pericolosissimo in questa fase storica, perché il cibo sta diventando un elemento per creare disuguaglianza. E questa è una cosa pericolosa. Io non voglio essere ricordato come uno che crea delle mura. Io voglio essere ricordato come uno che ha dato ricette e leggerezza. E che ha fatto ridere con Crozza. Ecco, io voglio essere ricordato così. Non come uno che crea barricate. E non so se ci riesco già, però quella è la mia stella polare. Ho conosciuto tanti cuochi crudisti, che hanno fatto un sacco di corsi molto belli, preparatissimi e pieni di nozioni. Poi quando gli chiedevo come facessero a conciliare tutto con la loro vita privata mi sentivo rispondere “Eh no, ma io sono solo” oppure “Per via delle mie scelte alimentari ho lasciato il mio compagno”. E sono anche felici. Questo mi è successo dieci anni fa. Adesso, probabilmente, avrei uno o due domande da fargli. Come, per esempio, perché il cibo e le tue scelte alimentari sono state così importanti da farti prendere le distanze dalla tua famiglia? Una ex modella si è allontanata dai genitori. Misure perfette ma… chi se ne frega! Ci sono cose più importanti nella vita.

Terminiamo con un po’ di creatività: se dovessi dedicare un piatto a Lambrate, a base di quali ingredienti sarebbe? E con quale metodo di cottura lo tratteresti (se fosse cotto)?

Ora siamo in Primavera, sicuramente sarebbe a base di tarassaco (che c’è anche nei giardini). Direi un’insalata fatta con il tarassaco e con la malva, fresca e rinfrescante, decorata con i loro stessi fiori. Magari con un gazpacho di pomodoro di accompagnamento, da bere o da utilizzare come dressing.